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L’industria 4.0 e la figura dell’ Innovation Manager

Introduzione

Il nuovo modello produttivo della “Quarta Rivoluzione Industriale rappresenta uno scenario affascinante, complesso e ricco di sfide, non solo per il mondo industriale ma per l’intera società. Ma cosa è l’Industria 4.0? L’Industria 4.0  è considerata una vera e propria rivoluzione industriale, dopo quelle del 1784 con la nascita della macchina a vapore, quella del 1870 con produzioni e consumi di massa attraverso l’uso sempre più diffuso dell’elettricità e quella del 1970 con la nascita dell’informatica –  è un fenomeno ancora tutto da definire, del quale ancora non si riescono a delineare i contorni con chiarezza e precisione.  L’ascesa della tecnologia informatica ha dato il via allo sviluppo dell’era digitale e all’automazione di molti processi avvalendosi di sistemi dell’IT (Information Technology). Un cambiamento che travolge prodotti, servizi e metodologie produttive, e ha al cuore una rottura tecnologica senza precedenti: la fusione tra mondo reale degli impianti industriali e mondo virtuale della cosiddetta Internet of Things, un sistema integrato di dispositivi intercomunicanti e intelligenti che mette in contatto, attraverso la rete, oggetti, persone e luoghi Tale rivoluzione è in divenire per quanto riguarda possibilità e opportunità ma anche problematiche da affrontare. Raccogliere la sfida di industry 4.0 significa innanzitutto raccogliere la sfida della innovazione. In un paese che si avvia verso una seppur lenta ma sempre più decisiva e necessaria trasformazione digitale, l’innovatore di azienda diventa una figura chiave per far compiere alle imprese il salto decisivo verso un domani da rincorrere con sempre maggior velocità e capacità di adattarsi ai rapidissimi cambiamenti cui la tecnologia costringe ogni ambito del nostro vivere. Alla luce di tali cambiamenti si profila una nuova figura in azienda l’INNOVATION MANAGER!

 

Il cambiamento e l’industria 4.0

L’ industria 4.0 utilizza l’ innovazione come base per ricercare nuovi spunti e idee che possono portare allo sviluppo di soluzioni più efficaci e performanti. La teoria organizzativa illustra come, man mano che l’ambiente competitivo diventa complesso, le strutture organizzative votate al controllo centralizzato e all’efficienza non sono più adatte a rispondere alle esigenze strategiche dell’organizzazione, prima fra tutte l’organizzazione funzionale. Le organizzazioni si trasformano quindi in strutture matriciali, divisionali o creano forti ruoli di coordinamento orizzontale in maniera tale da poter rendere più veloci i processi decisionali a fronte di condizioni di mercato mutate. Le organizzazioni, cominciano a ridurre il numero dei livelli gerarchici e si trasformano da sistemi stabili ed efficienti, basati su chiari meccanismi formali, in learning organization dove la cultura adattiva al cambiamento esterno è fondamentale non solo per il successo dell’azienda ma per la sua stessa sopravvivenza. Ma che cosa si intende per innovazione?
Per le aziende, l’innovazione è vista come ‘implementazione o il miglioramento di un nuovo prodotto (sia esso un bene o un servizio), modifiche rilevanti a prodotti o servizi già esistenti per renderli ancora più in linea con le esigenze dei consumatori e del mercato; o la creazione di nuovi processi di produzione e modi di lavorare.
L’innovazione, quindi, non si identifica solo come lo sviluppo di un nuovo prodotto o di un nuovo servizio, ma abbraccia tutti i processi aziendali e può realizzarsi anche come innovazione di business, di processo o organizzativa .
Fino a qualche anno fa, ad occuparsi dell’innovazione nelle aziende era il comparto Ricerca e Sviluppo, ad oggi assistiamo all’affermazione di paradigmi alternativi come l’open innovation. Ecco una definizione di Henry Chesbrough: L’Open Innovation è un paradigma che afferma che le imprese possono e debbono fare ricorso ad idee esterne, così come a quelle interne, ed accedere con percorsi interni ed esterni ai mercati se vogliono progredire nelle loro competenze tecnologiche.
La gestione dell’innovazione, dunque, permette all’organizzazione di rispondere ad opportunità esterne o interne, e di usare la propria creatività per introdurre nuove idee, processi o prodotti, svincolandosi dall’area di “Ricerca e Sviluppo”. Proprio riprendendo il concetto di open innovation, l’innovazione nelle aziende è legata ai contributi di tutti i dipendenti e di eventuali forze esterne all’impresa. Nel mondo di oggi, le aziende hanno bisogno di dominare i cambiamenti nel mercato per crescere e sbaragliare la concorrenza, puntando su prodotti e metodi competitivi. Una sfida significativa per le organizzazioni è dunque quella di riuscire a dare risposte rapide e incisive ai cambiamenti ambientali (specie in un contesto ormai globalizzato), crisi organizzative e modificazioni delle aspettative dei clienti, sapendo anche gestire una rete di relazioni con i clienti, grazie alla creazione, organizzazione e gestione di legami tra l’azienda e i suoi dipendenti.

 

La figura dell’ innovation manager

In un paese che si avvia verso una trasformazione digitale, l’innovatore di azienda diventa una figura strategica per far compiere alle imprese il salto decisivo verso la competitività, si pone quindi come figura chiave in grado di coltivare le idee, segmentarle e trasformarle in opportunità di business, gestendo gli impatti organizzativi relativi al processo di innovazione individuato e generando consapevolezza e coinvolgimento di tutte le funzioni aziendali interessate.  L’Innovation Manager è una figura complessa e di alto livello, a cui è riconosciuta responsabilità e importanza in azienda per una trasformazione critica per la sopravvivenza e il successo. Il manager per l’innovazione, secondo Federmanager, «è un professionista che deve assicurare la gestione delle attività di un’impresa inerenti processi di innovazione del business, in termini di processi organizzativi, prodotti/servizi e pensiero manageriale, stimolando la ricerca di soluzioni legate alla digital trasformation e favorendo culturalmente l’introduzione e il consolidamento di idee innovative in azienda per lo sviluppo di un vantaggio competitivo sul mercato con la conseguente crescita del business». La figura dell’Innovation Manager è chiamata da un lato ad ottimizzare le prestazioni delle “tecnologie abilitanti”, quindi attuarne appieno le potenzialità nella routine quotidiana aziendale; dall’altra a valutare prima, a partire dalle esigenze reali, in che modo la digitalizzazione possa aiutare l’impresa e solo dopo consigliare la soluzione tecnologica più efficace e la modifica della filiera produttiva. Si tratta di leggere il momento storico, le risorse disponibili, le tecnologie applicabili, il progetto proponibile e il carattere della comunità alla quale viene proposto, i modi con i quali i soggetti coinvolti possono comunicare e collaborare, i risultati emergenti dal punto di vista contabile e la visione della prospettiva che ne viene fuori .

Sempre più spesso le imprese stanno prendendo coscienza del fabbisogno di competenze trasversali per generare e rilasciare innovazione di valore, per l’azienda e per il cliente, e stanno estendendo il concetto di innovazione relativo a nuovi prodotti e nuovi processi al business nel suo complesso. In questa accezione, il Business Innovation Manager è una figura capace di gestire con autonomia, doti di leadership e competenze manageriali le problematiche strategiche e gestionali dell’innovazione aziendale. Stando alla definizione della Sda Bocconi, la business school dell’ateneo milanese, l’innovation manager deve abbinare funzioni  “contabili” di pianificazione economico-finanziaria sul futuro ad analisi sui trend dell’innovazione, strategie per l’adeguamento tecnologico dell’impresa e un processo costante di contaminazione con quello che fermenta tra laboratori universitari e startup. In altre parole: stanare, valutare e nel caso adottare le soluzioni inedite che emergono nel proprio mercato, per evitare di perdere terreno rispetto alla concorrenza. Il suo compito principale è quello di traghettare gli imprenditori verso il successo, attraverso una serie di processi volti alla costruzione di un sistema di innovazione aziendale strutturato. Il suo ruolo prevede l’analisi e monitoraggio di tutte le funzioni del business, per capire se queste hanno bisogno di un intervento o se sono sensibili in tema innovazione. Le principali competenze che un innovation manager deve avere sono:

  • Forti conoscenze di economia e marketing, che serviranno soprattutto per studiare l’impresa e il mercato in cui opera, formulando strategie utili alla crescita;
  • Flessibilità e conoscenze trasversali, che ben si adattano a tutti i contesti aziendali;
  • Capacità di gestione aziendale e conoscenza dei modelli organizzativi;
  • Creatività e fantasia per dare vita a nuovi progetti;
  • Skills tecnologiche molto elevate;
  • Capacità relazionali spiccate.

 

Chi veste il ruolo diretto a promuovere e guidare l’innovazione in azienda ha competenze in project management, pensiero strategico e leadership. È una persona capace di individuare nuove opportunità per l’organizzazione in cui opera e quindi è abile nel traghettare il team di lavoro da una visione alla messa in opera. Incoraggia quindi la creatività individuale e collettiva, guida i processi di sviluppo di nuove idee, di prototipazione e produzione attraverso il ricorso a strumenti di riduzione del rischio . In questo percorso, è indispensabile che la contaminazione culturale e organizzativa in termini di digital transformation, sia sul piano strategico sia operativo, sia affidata a manager esperti e appositamente formati a livello tecnico e professionale. Le competenze essenziali sono rappresentate dalla competenza di analisi e ridefinizione della relazione del sistema organizzativo con l’ambiente esterno di riferimento (mission, vision, strategia) e dalla competenza di apertura al cambiamento e innovazione di approcci di lavoro e di metodologie organizzative e operative. Si definiscono competenze qualificanti quelle inerenti all’analisi ed elaborazione dei problemi (incluse diagnosi e soluzione); la competenza di utilizzo e trasferimento di conoscenze, metodologie e tecniche; quelle relative al senso economico, alla valorizzazione e all’ottimizzazione delle risorse a disposizione (umane, economiche, tecniche, di tempo, ecc.).Infine, dato il particolare ruolo che l’Innovation Manager svolge nell’impresa che transita verso il paradigma Industria 4.0, sono state individuate delle competenze specialistiche di digital transformation che, almeno in parte, devono essere possedute dal candidato (Internet of Things, Cyber Physical Systems; Big Data; Cloud Computing).

Secondo  Tim Cook, CEO Apple in azienda serve un Innovation Manager ma tutti sono responsabili per l’innovazione in azienda . L’innovazione è un processo complesso e non lineare, essa promuove la creatività, la sperimentazione, l’accettazione del fallimento, ma è la strada necessaria al raggiungimento del successo pertanto è necessario  l’apporto proattivo di tutti nell’organizzazione, l’innovazione deve essere tessuto pregnante della cultura aziendale.

Solo le organizzazioni ambidestre, infatti, possono oggi competere nelle acque turbolente della IV rivoluzione industriale: occorre sviluppare l’innovazione continua insieme all’innovazione radicale, per riuscire a seguire, e meglio ancora ad anticipare, i cambiamenti di esigenze e comportamenti dei clienti in un mercato caratterizzato da un ciclo di vita di prodotti e servizi sempre più breve, da nuove tecnologie emergenti a velocità impressionanti.

 

La prospettiva italiana

Il  libro La fabbrica connessa indaga e sviluppa la prospettiva italiana. L’«Industria 4.0» non costituisce una rivoluzione improvvisa che cambia tutte le regole del gioco, ma un’ evoluzione nel corso della quale le imprese, in un primo momento, si limiteranno a effettuare investimenti di ammontare contenuto finalizzati ad aggiornare i macchinari già in loro possesso allo scopo di sviluppare le competenze necessarie e di esplorare le potenzialità che le nuove tecnologie sono in grado di offrire loro. È importante pertanto che gli imprenditori, soprattutto piccoli e medi, che rappresentano più dell’80% del tessuto manifatturiero nazionale, comprendano che esiste un percorso graduale che li può condurre, nell’arco di qualche anno/lustro, verso un nuovo paradigma tecnologico, partendo dalle tecnologie esistenti e sviluppando progressivamente competenze e nuovi modelli di business. La gradualità dell’approccio comincia dall’estrarre informazioni da dati già in possesso dell’azienda, oppure nell’applicazione sensoristica su macchinari «vecchi» arrivando anche a connettere macchinari tra loro. Quest’ultima operazione (che costa al massimo qualche decina di migliaia di euro) prolungherebbe la vita utile degli impianti, permetterebbe di aumentare la produttività dell’impresa (tipicamente riducendo i consumi di energia e gli scarti di produzione) e consentirebbe al contempo lo sviluppo della cultura manageriale necessaria a concepire e implementare la trasformazione digitale. Queste pratiche di digitalizzazione di vecchi macchinari, mettono l’impresa nella condizione di sviluppare progressivamente le competenze dei propri dipendenti e di apprezzare i benefici della digitalizzazione comprendendone le logiche profonde sottostanti. Questa strategia permette dunque di «comprare tempo» con un limitato impegno finanziario e crea le condizioni per una piena digitalizzazione della manifattura italiana su un orizzonte temporale breve.

La visione «evolutiva» e non «rivoluzionaria» si collega con la profondità dei cambiamenti culturali che la digitalizzazione della manifattura richiede: occorre che gli imprenditori manifatturieri italiani sempre più «pensino digitale» e accettino la sfida del cambiamento nel momento in cui hanno le risorse per affrontare e vincere la sfida. Spesso, al contrario, l’eccessivo attaccamento a modelli tradizionali porta a una crisi progressiva, al termine della quale mancano le risorse per gestire il cambiamento necessario. Occorre pertanto sviluppare una capacità di gestire il cambiamento che non è solo tecnologico ma anche culturale, organizzativo e di strategie aziendali. La sfida dell’Industria 4.0 è particolarmente importante per l’economia italiana che soffre di una fase di stagnazione particolarmente prolungata: in Italia negli ultimi vent’anni (1995-2015) la produttività oraria del lavoro è cresciuta complessivamente solo del 5% mentre negli Usa è cresciuta del 40%, in Francia, Gran Bretagna e Germania di oltre il 30%. È pertanto evidente che la sfida della produttività e della difesa del ruolo centrale della manifattura è per il nostro paese decisiva: dall’esito di tale sfida dipendono probabilmente non solo il ruolo dell’Italia nello scenario internazionale e la possibilità di crescita del reddito nazionale ma anche la stessa tenuta sociale.Il tessuto imprenditoriale italiano è fatto di piccole e micro-imprese le quali hanno bisogno di essere guidate in questo cambiamento. I costi di digitalizzazione però sono sempre stati molto alti, specie per le piccole e medie imprese che non hanno risorse per poter assumere sviluppatori o personale qualificato. È emerso spesso come la principale difficoltà per chi si occupa di innovazione sia lo scontrarsi con la cultura prevalente in azienda, la sindrome del “not invented here”, del “si è sempre fatto così” perché cambiare, quelle di chi si vede in una situazione tanto tragica da non poter pensare all’innovazione: «Siamo in una fase di taglio dei costi». Quelle di chi preferisce procrastinare, scegliendo ciò che è urgente rispetto a ciò che può essere importante: «Ho troppe cose da seguire adesso». Quelle che puntano al pessimismo tecnologico: «No! È impossibile» . In tanti parlano di innovazione, ma nei fatti gli ostacoli sono enormi. Spesso sono essenzialmente culturali: la velocità del cambiamento e la complessità del contesto sono una sfida continua alle specializzazioni tradizionali e ai sistemi formativi nati nell’epoca lineare dell’industrializzazione. Forse, ancora più spesso sono ostacoli sociali: l’organizzazione di un’azienda o di un’istituzione tende a generare convenzioni e abitudini che per quieto vivere o per timore vengono messe in discussione malvolentieri. Eppure, l’innovazione è necessaria per sopravvivere in un contesto di grande trasformazione.

Il Ministero dello Sviluppo economico  ha introdotto nella legge di bilancio il voucher manager e l’albo per gli innovation manager. Il “Voucher Manager” contenuto all’art 2 del decreto del 07/05/2019 rappresenta un contributo a fondo perduto per le pmi un incentivo di 25 milioni per gli anni 2019, 2020 e 2021, con esso le aziende potranno spendere i voucher ricevuti dallo Stato “per l’acquisto di prestazioni consulenziali di natura specialistica finalizzate a sostenere i processi di trasformazione tecnologica e digitale attraverso le tecnologie abilitanti previste dal Piano Nazionale Impresa 4. 0 . In dettaglio, le micro e le piccole imprese – che hanno un fatturato annuo non superiore rispettivamente a 2 milioni e a 10 milioni – ricevono un voucher che copre il 50% dei costi della consulenza fornita dall’innovation manager o dalla società di consulenza fino a un massimo di 40 mila euro. Per le medie imprese, invece, che fatturano non più di 50 milioni, il contributo è pari al 30% e il limite delle spese rimborsabili è di 25 mila euro.È possibile anche ricevere fino a 80 mila euro per le imprese che hanno stretto un “contratto di rete”: il contributo in tal caso è del 50% ma si intende per l’intera rete .

L’art 5 del decreto definisce i requisiti che deve possedere l’innovation manager per iscriversi all’albo, tale figura risulta fondamentale per l’ ammodernamento e la digitalizzazione  degli assetti gestionali e organizzativi dell’impresa.

Nonostante le manovre messe in atto dal governo per cercare di rendere l’Italia una nazione digitalizzata e al passo con i tempi dell’innovazione esistono ancora gravi ritardi. Alla luce dei dati emersi dal bilancio degli ultimi due anni dall’applicazione del Piano Industria 4.0 sin dal 2017 emerge secondo l’ex ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda che per digitalizzare le imprese italiane non basta più investire in nuove tecnologie, ma soprattutto nella competenza di chi sappia farle funzionare rendendole più competitive.

A ottobre 2018, il Politecnico di Milano certificava lo stato dell’arte della digital transformation per industrie e PMI: dopo una diffidenza iniziale, il 55% delle aziende ha adottato soluzioni 4.0, Nel rapporto però emergeva anche un altro dato: solo il 30% delle imprese dichiarava di avere le competenze e quindi le risorse umane necessarie per saper usare quelle tecnologie a beneficio della produzione e della crescita imprenditoriale. Tradotto in termini semplici: di avere in azienda chi sappia estrarre dai dati e dalle tecnologie applicate le informazioni utili a indirizzare la strategia di impresa.

Dopo la crisi economica le pmi italiane hanno necessità di puntare sui mercati esteri. Secondo un’indagine di Confapi, la confederazione italiana della piccola e media industria privata, il 57,4% delle imprese dichiara di aver bisogno di figure manageriali di elevata professionalità in grado di supportare e sviluppare i processi produttivi e organizzativi. Di queste il 34,4% non può prescindere da un export manager capace di scegliere i nuovi potenziali mercati di riferimento e analizzare le specificità di ogni Paese e contesto economico. Il 23% individua nell’innovation manager un ruolo chiave per accelerare i processi di innovazione e digitalizzazione dell’impresa. Davanti ai cambiamenti richiesti al mondo delle pmi, il 23% degli intervistati da Confapi ha dichiarato di essere consapevole che i mercati sono caratterizzati da una forte concorrenza internazionale, il 21% lamenta la mancanza di un’adeguata qualificazione del management aziendale, il 17% di un’adeguata qualificazione delle risorse umane.

A seguito del processo di digitalizzazione numerosi studiosi sostengono che il lavoro sia in via di sparizione.  A confutare tale teoria il professor Luciano Pero ,il quale  ritiene che garantire livelli occupazionali e di competitività sia possibile se si innova non solo il parco macchine e il software, ma anche e soprattutto il modo di organizzare il lavoro in azienda e nella filiera produttiva. Secondo Pero «non ci sono settori in cui non si possa organizzare diversamente il lavoro: anche in quelli apparentemente rigidi. «La rivoluzione può avvenire a prescindere dalle dimensioni il piccolo imprenditore può essere innovativo se decide di investire e se è in condizioni di farlo, tanto quanto una grande impresa e nella sua esperienza ciò che conta è la capacità di chi dirige l’impresa di innovare: da noi non mancano gli “adattatori” ma gli innovatori».Anzi, Pero lo dice chiaramente: la formazione servirebbe farla non tanto o solo agli operai, ma ai manager, ai dirigenti, ai capi-d’azienda, cioè la fascia che ha più difficoltà oggi a cogliere e intuire la necessità di cambiamento per salvaguardare la competitività della propria impresa. Il docente smonta uno degli stereotipi più comuni in circolazione in questo momento: e cioè che la sostituzione del lavoro umano con quello dell’intelligenza artificiale sia inevitabile e non invece una scelta gestibile sia per le aziende più grandi sia per quelle con pochi addetti. Certamente i processi di trasformazione mettono seriamente in discussione paradigmi consolidati e pratiche storiche, non ultimo il sistema di relazioni industriali ma la convinzione di fondo è che le persone, la loro intelligenza, le loro capacità organizzative, il loro lavoro appunto, facciano la differenza. Il robot ruba il lavoro quando il lavoro non è accompagnato da una evoluzione delle performance e della produttività: dobbiamo accettare la sfida dell’avanzamento tecnologico perché sarà la mancanza di commesse a far perdere il posto e non il fatto di aver introdotto un sistema robotizzato». Quindi alla luce dei dati possiamo affermare come nel processo di cambiamento in atto è necessario integrare sia tecnologia che persone. «E’ importante capire che Industria 4.0 non significa inserire macchine nuove in una linea produttiva, ma armonizzare la tecnologia, le risorse umane con l’impresa», spiega il docente a La Nuvola Non solo tecnologia, quindi: l’impresa 4.0, nella sua declinazione più completa, prevede l’integrazione tra i sistemi fisici tradizionali e quelli digitali in tutte le fasi del ciclo produttivo, per un suo adattamento in tempo reale. Dalle nozioni finora elencate guardiamo un esempio concreto di come l’ innovazione aiuta le aziende a trovare soluzioni migliori.

 

Caso Nexman

NEXMAN È UNA START UP con sede a Vecchiano in provincia di Pisa, nasce da un’idea che coniuga competenze informatiche, elettroniche, meccaniche e di processo unite ad una capacità progettuale e organizzativa che ci colloca come System Integrator a metà strada tra l’azienda di Informatica e l’azienda di automazione. La sua mission è aiutare le aziende manifatturiere e non solo, a innovare il processo produttivo attraverso la gestione e l’integrazione della comunicazione tra uomo e macchina. L’azienda si avvale di due società la Gamma Informatica srl di Lucca e la Dinamo srl di Pisa le quali apportano competenze di informatica, elettronica, lavorazioni meccaniche, processi aziendali.

Il Team di persone che compone l’azienda è formato da professionisti con esperienze nella gestione degli stabilimenti, nella pianificazione della produzione, nella gestione logistica insieme a persone che provengono dal mondo dell’informatica, dei sistemi MES (Manufacturing Execution System), dall’automazione industriale. Molte delle realtà italiane soprattutto pmi non riescono a sfruttare i vantaggi che la tecnologia può offrire, questo perché manca quasi sempre una o più figure di riferimento in grado di leggere i dati aziendali. E’ necessario creare pertanto un’ integrazione dei dati che riguardano i reparti produttivi oltre che la lettura e interpretazione di essi. Nexman al contrario ha al proprio interno persone  in grado di parlare con la produzione, con la logistica, con la qualità, e coniugare le esigenze delle Operation con l’IT, con i fornitori di macchinari, con la parte vendite.

Nexman è riuscita a sviluppare programmi e software variabili in base alle diverse esigenze delle aziende clienti. Le Aziende manifatturiere sono da sempre strette tra due obiettivi, ammodernare gli impianti e massimizzare il ROI, il ritorno dell’investimento, facendo attenzione ai costi.

Per questo l’azienda fin da  subito si è posta due obiettivi:

  • Utilizzare la tecnologia al servizio delle persone
  • Salvaguardare gli investimenti già fatti dalle aziende

 

Dal perseguire questi due obiettivi, nasce la peculiarità dell’ azienda: progettare e realizzare sistemi hardware e software per far comunicare macchinari e persone in modo semplice, automatico, con soluzioni industrializzate e personalizzate. Lo scopo è ottimizzare i processi, fornire ai macchinari le istruzioni per le lavorazioni durante il percorso nella catena di montaggio, e avvisare gli utenti in caso di anomalie con sistemi di allarmi e notifiche via e-mail o SMS.

Da esso nascono i robot collaborativi che aiutano le persone in determinati lavori a volte ripetitivi o pericolosi, essi vengono installati in azienda in base alla necessità.

Tale sistema inoltre non appesantisce i costi fissi delle aziende in quanto l’offerta è paper user si paga in base all’utilizzo. I clienti dell’azienda sono:

PMI ad alto potenziale che vogliono un Partner in grado di supportarli nella definizione e nell’implementazione di un piano di trasformazione Industria 4.0.

Subsidiary di Grandi Multinazionali che hanno un piano di trasformazione ma richiedono un Partner locale per le implementazioni

 

Bibliografia e sitografia

Ivan Ortenzi  Innovation manager. Disegnare e gestire l’innovazione in azienda  Edizioni Franco Angeli
A.Magone, T. Mazali Industria 4.0. Uomini e macchine nella fabbrica digitale Edizione Guerini e Associati

Luca Beltrametti, Nino Guarnacci, Nicola Intini, Corrado La ForgiaLa fabbrica connessa. La manifattura italiana (attra)verso Industria 4.0.  Edizioni Angelo Guerini e Associati SpA

Laino Antonella L’innovazione nell’analisi economica Formato kindle

Stephen K. Markham, Paul Mugge, Innovazione aziendale: Metodi e strumenti per affrontare il cambiamento in azienda Edizioni Tecniche Nuove

Vittorio D’Amato e Elena Tosca Pensiero sistemico & management innovation. Le nuove competenze per gestire la complessità Edizioni Franco Angeli

Katia Valtorta Innovation management Edizioni Ipsoa

N.Rosenberg, D. Mowery, “Il secolo dell’innovazione”, UBE Paperback, Milano, 2008

Adriano De Maio e Raffaello Vignali Impresa è Innovazione

A.Galgano, La rivoluzione manageriale. Ripensare la qualità totale, Il Sole 24 Ore, Milano 1999.
M.Imai, Kaizen, la strategia giapponese al miglioramento, Il Sole 24 Ore, Milano 1986.

A cura di regional development agency of northern primorska Nova Gorica Gestione della creatività e dell’innovazione nelle piccole e medie imprese

Jessica D. Giusti Resercher – Institute for Entrepreneurship and Competitiveness L’organizzazione e la gestione dell’innovazione nell’impresa

Chiara Basciano Introdurre l’innovazione in azienda 13 Novembre 2018

www.ilsole24ore.com

www.economist.com

www.corrieredellasera.it

www.digital4.biz/hr/innovation-manager-ruolo-e-competenze/

www.handyinnovation.com

www.economyup.it

www.nexman.it

Vanessa Conti

Dopo la laurea triennale in General Management consegue la laurea magistrale in Strategia, Management & Controllo con la votazione di 110 con lode discutendo una tesi di carattere “sperimentale” sulle dinamiche della qualità e cambiamento organizzativo in applicazione ad una realtà multinazionale del settore siderurgico/refrattario. In ambito lavorativo ha mosso i primi passi in aziende diverse tra loro sia per dimensioni sia per settori tecnologici, tra queste Azimut Benetti e Vesuvius Italia per citare le due realtà più grandi. L’attitudine all’ampliamento del proprio bagaglio culturale e la passione per le tematiche economico-finanziarie e di innovazione l’hanno condotta ad intraprendere il percorso formativo del CIBA ONLINE organizzato da Eraclito 2000. Il testo che segue è stato presentato come lavoro finale del Corso ad una Commissione di Esperti in campo economico-finanziario.