Viaggio dentro a se stessi
Dott. Luigi Comacchio
L’autore
Luigi Comacchio ha conseguito la laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Padova.
Come parte del proprio percorso formativo ha avuto l’opportunità di trascorrere due semestri all’estero: uno presso la Boston University ed uno presso l’Université Paris 1 Panthéon-Sorbonne, esperienze che gli hanno permesso di arricchire il proprio bagaglio personale e di espandere i propri orizzonti culturali. Nel 2010 ha partecipato alla XVII edizione del Master in “Comunicazione, Banche e Assicurazioni” che gli ha offerto la possibilità di mettersi alla prova in ambiti a lui estranei e di conoscere persone d’inestimabile valore.
Instancabile viaggiatore, ha una spiccata passione per le lingue e le culture straniere ed è mosso da una profonda curiosità nei confronti dell’ambiente circostante e della natura umana.
Al momento ha appena terminato gli studi e si sta guardando attorno per riuscire a trovare una collocazione a lui congeniale, convinto di avere ancora molto da imparare e da sperimentare.
Introduzione
Perché intraprendere un viaggio dentro se stessi?
Pausania ci riporta che sulla facciata del tempio di Apollo a Delfi era inscritto un invito tanto breve quanto denso di significato: “Conosci te stesso”. Poco importa se quanto scrive corrisponda a realtà, irrilevante è sapere se queste parole siano state effettivamente pronunciate da qualche saggio dell’Antichità, ciò che conta è che il messaggio che lanciano risuona nei secoli. Paradossale no? Proprio nel luogo dove ci si recava avidi di risposte e desiderosi di certezze, si veniva spronati a guardare dentro di sé. Che non fosse quello forse lo scrigno che celava la soluzione capace di dissolvere ogni dubbio e rispondere ad ogni interrogativo? Ebbene, quanto spesso ci si sofferma a guardare dentro di sé?
In un’epoca assetata di sapere, in cui la scienza e la tecnologia si spalleggiano nell’incessante ricerca di soluzioni che facilitino la vita dell’umanità, in cui, dismessi i dogmi del passato, l’unica regola vigente è la continua messa in discussione di ciò che si è scoperto od appreso fino ad ora in vista dell’inarrestabile progresso della civiltà, solo un dettaglio viene troppo spesso trascurato: la propria interiorità. In un secolo in cui s’impugnano identità raffazzonate per l’occasione quasi fossero scudi dietro cui rifugiarsi o spade per trafiggere il nemico, non ci s’interroga abbastanza su che cosa significhino realmente. In anni in cui divorati dal vano anelito di un’effimera emozione che riesca faticosamente a togliere di dosso la tediosa pesantezza di una quotidianità perennemente uguale a se stessa, ci si perde nel labirinto delle droghe, dell’alcol, dell’azzardo, e s’arriva anche a sgozzare, pur di provare un brivido di adrenalina, ci s’inganna ignorando che la più eccitante delle avventure è in attesa dietro l’angolo, è dentro di sé. In qualsiasi momento, dovunque ci si trovi, è possibile intraprendere un magico viaggio che mai avrà fine e mai annoierà. Da sempre il viaggio è sinonimo di scoperta e conoscenza, si pensi ad Ulisse che tutti ha affascinato suscitando invidia per ciò che aveva vissuto. In ogni momento in cui la civiltà si trovò sull’orlo dello sfacelo, le sue peripezie divennero la metafora del percorso che ciascun essere umano dovrebbe ricreare dentro di sé.
Negli ultimi secoli dell’impero romano i filosofi interpretarono le peripezie di Ulisse come il cammino che l’anima doveva affrontare per liberarsi dalla prigionia del corpo e fare ritorno alla sua vera origine; il ripiegamento in se stessi era l’unica via che permettesse di proteggersi dal crollo di tutto ciò che aveva costituito una certezza fino ad allora. Ancora, in piena Prima Guerra Mondiale, Joyce, come emblema della crisi delle coscienze che colpì l’Europa degli inizi del Novecento, propose nuovamente il mito di Ulisse, incarnato da un mediocre irlandese che invece di vagare per il Mediterraneo gira per una grigia Dublino. Anche in un momento come questo dove la parola crisi è onnipresente nei giornali e in televisione, un viaggio dentro se stessi potrebbe costituire una valida risorsa per ritrovare quegli unici punti fermi cui aggrapparsi quando la terra sotto i piedi viene a mancare.