Quando introduco il concetto di empatia in un gruppo non parto mai dalla definizione, non dico di che cosa si tratta, non mi soffermo su descrizioni astratte, lontane dal vissuto delle persone, ma invece lancio un’esperienza, semplicissima e sotto forma di gioco.
La parola empatia già blocca di per sé, non tutti sono padroni del significato, la derivazione dal greco può allontanare, la cosa migliore è sdrammatizzare ed il gioco è perfetto.
Non è di mia invenzione ma l’ho ormai testato, sì, si gioca a “Nei tuoi panni “.
Propongo alle persone di scegliersi un compagno e di scambiarsi il più possibile abiti, sciarpe, gioielli, gioco sempre anch’io, credo sia fondamentale condividere l’esperienza.
Chiedo di entrare nello stile dell’altro attraverso gli indumenti e monili, compiere azioni per entrare in contatto con il cambiamento, modificare l’andatura indossando il foulard dell’altro oppure la borsa, guardarsi allo specchio, odorare gli oggetti dell’altro, percepire le sensazioni che emanano dai nuovi oggetti.
Osservare questi oggetti altrui e riflettere brevemente.
Invito poi alcuni a fare una passerella in “nuove vesti”.
Domando: come ti sei sentita nei panni di Luca?
Il gioco è particolarmente divertente, va proposto ad un gruppo già formato, nel quale le persone già si conoscono, altrimenti risulta troppo di impatto e può non portare agli esiti desiderati.
Sono ormai convinta che il gioco centri in pieno il concetto di empatia e, se riflettuto, può far contattare aspetti profondi.
L’obiettivo che perseguo è quello di stimolare l’immedesimazione nell’altro e di provare a modificare il proprio schema corporeo per ottenere un maggior senso di sé.
Dopo qualche risata unita a considerazioni acute del gruppo, a clima ormai disteso e recettivo, sento che posso iniziare a parlare di empatia.