Proprio a partire dalla importante considerazione di Heidegger bisogna recuperare l’atteggiamento dell’ascolto nella sua dimensione di apertura fondamentale, in ambedue le direzioni che lo costituiscono, l’una verso la propria interiorità, l’altra verso l’altro.
In questo senso affermava Eraclito: “…se vi mantenete in una appartenenza disposta all’ascolto, questo è autentico dire…” .
Il motto delfico “conosci te stesso”, che Socrate fa proprio, costituisce il filo rosso di tutte le nostre variegate esperienze poiché ne è la base e la condizione stessa di possibilità del loro accadere.
La conoscenza di sé implicava in Socrate l’ascolto del daimon che fungeva da guida della propria vita ed era alla base del suo insegnamento morale. Conoscersi infatti significa ascoltarsi, capirsi, interpretarsi.
Anche noi dovremmo ascoltare il nostro daimon, la nostra coscienza che ci indirizza nelle azioni che compiamo.
Interrogare se stessi significa porsi delle domande sul nostro essere profondo e l’insorgere stesso della domanda dipende dal nostro saperci interrogare.
La domanda può infatti venire considerata come qualcosa che insorge, che si pone da sé, come se noi la patissimo e questa non fosse altro che una conseguenza del nostro ascoltarci.
Il daimon fa parte di quell’orizzonte extra logico che ci appartiene ma che spesso dimentichiamo e che, ad esempio in Wittgenstein, costituisce l’orizzonte alla luce del quale parliamo del logico.
Capirsi costituisce l’impegno primario a cui ci si deve sottoporre per affrontare la vita con consapevolezza e responsabilità, per viverla nella sua ricchezza come soggetti attivi. Affermava in proposito Wittgenstein: “…Vorrei davvero una volta dispiegare la mia vita per averla davanti a me e per gli altri. Non tanto per sottoporla a giudizio, quanto per ottenerne chiarezza…”.
Il messaggio socratico a distanza di secoli è ancora attuale e necessario, soprattutto ora, al fine di riappropriarsi di quelle dimensioni interiori che stanno assistendo ad un vero e proprio oblio.
La maieutica può essere, a mio avviso, la cura per uscire dalla sradicamento e smarrimento dell’io tipico del post moderno.
Il problema dell’interiorità e della sua conoscenza, è un problema filosofico, che come tale, è imperituro, destinato a ripresentarsi sempre pur in epoche molto distanti tra loro, poiché ha al suo interno quella potenza sorgiva che caratterizza la filosofia. Oggi il tempo viene sempre più percepito come qualcosa che è a noi esteriore, che ci sfugge e che è diviso meccanicamente in momenti diversi al suo interno. Si è pertanto persa la dimensione del tempo interiore che porta alla considerazione di questo come autoaffezione e che costituisce un itinerario verso la coscienza del sé.
A ciò si accompagna la tendenza all’attaccamento a cose frivole, transeunti, che riempiono temporaneamente il senso di vuoto che si avverte. Così molte attività rientrano nella categoria pascaliana del divertissement, il cui fine è quello di non farci riflettere sulla nostra miseria, su noi stessi, perché in fondo ciò che veramente si teme è il nostro proprio io.