Mi piace introdurre questa riflessione sulla creatività con la frase con cui Clarissa Pinkola Estès inizia un capitolo del suo libro Donne che corrono coi lupi.
“La creatività è multiforme. Ora assume una forma, ora un’altra. E’ come uno spirito abbagliante che appare a tutti noi, ma è difficile a descriversi perchè le voci non concordano su quel che si è visto nel lampo brillare”.
Che essa si manifesti attraverso la cura della casa, una composizione musicale o una campagna pubblicitaria, è facile riconoscerne gli indizi, difficile ricondurne gli elementi ad oggettività.
In molti hanno provato ad individuare gli elementi che ricorrono nel concetto di creatività.
Così Platone: “In effetti, per qualsiasi cosa che proceda da ciò che non è a ciò che è, senza dubbio la causa di questo processo è sempre una creazione”;
Picasso: “Ogni atto di creazione è, prima di tutto, un atto di distruzione”;
Freud: “La creatività è un tentativo di risolvere un conflitto generato da pulsioni istintive biologiche non scaricate, perciò i desideri insoddisfatti sono la forza motrice della fantasia ed alimentano i sogni notturni e quelli a occhi aperti”.
Nonostante gli illustri tentativi di ricondurre la creatività a forme logiche, la società fa spesso della creatività un mito romantico, collocandola in un ambito elitario, fatto di celebrità e miti.
La creatività viene quasi sempre associata agli artisti, ai nati “sotto Saturno”, a quelle personalità associate a sofferenza e a vite con evoluzione drammatica, come il poeta e scrittore Cesare Pavese, il narratore americano Ernest Hemingway, il pittore Vincent Van Gogh.
La relazione tra creatività e follia costituisce un enigma che affascina ed inquieta il pensiero occidentale da millenni. La prima formulazione che si conosca di questo quesito risale ad una nota inserita nel canone aristotelico, che conosciamo con il nome di problemata XXX. “Perché tutti gli uomini eccezionali, nell’attività filosofica e politica, artistica e letteraria, hanno un temperamento melanconico, alcuni a tal punto da essere perfino affetti dagli stati patologici che ne derivano?”.
La creatività – afferma lo scrittore Piperno – nasce dalla vita e dal sangue. Sia Levi che Nabokov, se non fossero stati visitati e percossi, in vario modo, dal “demone della storia” forse non sarebbero neppure diventati scrittori. Entrambi hanno perduto la loro esistenza “normale”, la loro quotidianità. Levi, costretto dall’esperienza allucinante di Auschwitz a fare i conti freddamente con l’orrore (“Auschwitz ha fatto di me un intellettuale”), Nabokov obbligato dal comunismo e poi dal nazismo a emigrare prima in Germania, poi Francia e quindi negli Stati Uniti, dove scrisse il suo capolavoro Lolita.
La risposta che lo “pseudo” Aristotele dà al quesito da lui stesso formulato è che “i melanconici sono persone eccezionali, non per malattia ma per natura”. Non è la malattia che li fa grandi, dunque, ma è la loro grandezza che è tale da superare la malattia.
In questo senso, da una prospettiva più personale, la sofferenza potrebbe essere configurata come un punto di partenza, un modo per rinnovare la nostra percezione delle cose. La creatività, si configura in quest’ottica come quella capacità di trovare parole, immagini, suoni, con le quali esprimere pensieri ed emozioni, o meglio ancora tradurre la nostra vita interiore e quindi, in definitiva, noi stessi, in forme fruibili attraverso i nostri sensi.
La sofferenza rappresenta quindi uno degli stimoli del processo creativo (ma non l’unico), che permette di superare o sublimare l’esperienza di dolore.
Ognuno di noi, senza eccezioni possiede ciò che Jung definiva “istinto creativo”. Siamo chiamati a trovare una nostra collocazione nel mondo, a farne parte con la nostra originale personalità, sebbene nessuno possa chiederci di diventare artisti eccelsi. [T. MOORE]
La creatività, dunque, permea la vita di tutti i giorni; può essere esercitata con l’umorismo, con la preghiera, con la cura delle piante, il modo in cui gestiamo le nostre relazioni e i nostri interessi.
Attraverso la creatività modelliamo il nostro mondo.