La comunicazione teatrale
Dott.ssa Anna Colaiacomo
L’autrice
Anna Colaiacomo è laureata in Lingue e letterature straniere all’Università di Perugia e al DAMS (Teatro) all’Università di Roma Tre.
Insegna Lingua e letteratura francese in un Liceo linguistico di Teramo.
Ha tenuto corsi alla SSIS (Scuola di Specializzazione Insegnamento Secondario) dell’Università di Roma Tre e dell’Università di Macerata.
Ha frequentato corsi di teatro e di sceneggiatura a Roma con Ascanio Celestini, Marco Baliani, Cristina Comencini, Rosario Galli, Marco Martinelli, Ivan Cotroneo, Claudio Spadola, a Milano con Roberto Magnani, a Teramo con Silvio Araclio e Carlo Orsini. Ha partecipato a un laboratorio-spettacolo diretto da Corrado d’Elia, recitando nel Cirano. A Roma ha curato la regia e recitato nella commedia Boubouroche di Courteline.
Dirige un laboratorio teatrale a Teramo nell’Istituto in cui insegna e ha realizzato ogni anno un saggio- spettacolo con gli allievi, mettendo in scena opere di Ionesco, J. Romains, R. Queneau. Ha curato la regia e ha recitato nel cortometraggio La squartatrice, proiettato nell’ambito della manifestazione teramana Cineramnia. Scrive romanzi e racconti, di cui uno pubblicato da Giulio Perrone editore, altri in via di pubblicazione.
Introduzione
Tutto il mondo è palcoscenico, e gli uomini non sono altro che attori, che hanno le loro entrate e le loro uscite. William Shakespeare
Fare teatro è una pratica che contribuisce alla conoscenza di sé e alla propria formazione, potenziando le proprie risorse cognitive, affettive, relazionali e l’espressione della creatività personale. Nel corso degli anni in cui ho diretto un laboratorio teatrale mi è capitato spesso di sentire frasi di questo genere: “Mi piacerebbe molto, ma non ho il coraggio” “Non potrei mai farlo” “Mi vergogno” “Sono timido” e così via. Accade però che alcuni di questi “timidi” comincino a frequentare il laboratorio e in poco tempo giungano a superare il “panico” da palcoscenico e ad acquisire una notevole disinvoltura, che si accompagna spesso al desiderio di ripetere l’esperienza. Al contrario, persone che vengono comunemente considerate “estroverse”, “esibizioniste” o semplicemente “ardite”, nel momento in cui calcano la scena si scoprono fragili, inadeguate o esagerate. A teatro non si deve strafare, ed è più semplice aggiungere che togliere. Molti grandi attori hanno confessato la loro timidezza, la loro difficoltà nel sentirsi al centro dell’attenzione, e sono stati proprio questi lati della personalità a spingerli ad accettare la sfida, cominciando a praticare l’attività che più ci espone allo sguardo degli altri.
In realtà ognuno di noi “recita” ogni giorno, non è possibile esimersi da questa rappresentazione quotidiana: ogni giorno parliamo, ci muoviamo, comunichiamo davanti a un pubblico. Quando discutiamo con i figli, parliamo con il capufficio, ci rapportiamo con il coniuge, ci presentiamo ad un colloquio di lavoro, affrontiamo un esame, sempre ci muoviamo in un certo modo, adottiamo un tono della voce, abbiamo una dizione più o meno corretta, usiamo le pause, gesticoliamo, in breve comunichiamo con l’altro attraverso tutta una serie di codici della comunicazione verbale e non verbale.
Spesso lo facciamo in modo inconsapevole.
Fare teatro aiuta a renderci consapevoli dei nostri mezzi espressivi e degli effetti che essi provocano nell’interlocutore. Il teatro è scoperta di sé. L’obiettivo non è quello di cambiare i nostri modi di essere e di comunicare, ma di esserne consapevoli e di imparare a fare dei nostri punti deboli dei punti di forza. Pensiamo per esempio al compositore Allevi che, durante i suoi concerti, fa della sua timidezza un elemento spettacolare di grande fascino per il pubblico.
L’arte della recitazione è molto complessa, e forse non tutti possono diventare grandi attori, ma tutti coloro che praticano attività teatrale si sottopongono a un’esplorazione di sé che è insieme fisica e mentale.
Il teatro coinvolge nel profondo perché costringe a dichiararsi, a gettare la maschera, a giocare sul confine tra l’essere e l’apparire, a mettersi in gioco, e in questo senso esso può essere terapeutico, può costituire un momento di liberazione individuale e di rafforzamento della stima di sé.
Il teatro è strumento di conoscenza, luogo di relazioni profonde, in cui l’incontro con l’Altro si attua interpretando la sua parte, vivendo la sua storia fisicamente e mentalmente.
Teatro delle Albe: così ha chiamato la sua compagnia Marco Martinelli. In effetti fare teatro corrisponde ad iniziare una nuova giornata: un’alba comunque “straziante”, per dirla con Rimbaud. “Albe strazianti”: perché ci stupiscono, ci affascinano, ci mettono davanti al mistero dell’universo. Possiamo straziarci di malinconia, di meraviglia o di gioia di vivere: in ogni caso avremo fatto una scoperta. In ogni caso saremo invasi da una luce nuova.