Nelle nuove definizioni di benessere e di felicità, pur non negando l’importanza delle risorse economiche, si fanno rientrare: la soddisfazione dei bisogni immateriali, dei desideri e delle aspirazioni personali e la possibilità di svolgere attività gratificanti. Secondo Edgard Morin “la qualità della vita comporta emozione, passione, godimento” (2005 p. 132) e per D. Phillips “la felicità consiste nel possesso di determinate risorse, nella soddisfazione dei bisogni oggettivi e soggettivi, dei desideri, della partecipazione ad attività gratificanti, ma anche dalla comparazione con gli altri e con il proprio passato”. (1987 p.239). Da tale definizione appare abbastanza chiaro che non si può essere felici da soli, perché siamo parte di un sistema che per essere in equilibrio richiede il costante apporto di ciascuno. “La buona società – sostiene Morin – può essere solo una società complessa che abbracci la diversità, non elimini gli antagonismi e le difficoltà di vivere, ma che comporti più ‘relianza’, più comprensione, più coscienza, più solidarietà, più responsabilità”. (2005 p. 78)
“Mai si è troppo giovani o troppo vecchi per la conoscenza della felicità” sosteneva Epicuro e proseguiva”Chi sostiene che non è ancora giunto il momento di dedicarsi alla conoscenza di essa, o che ormai è troppo tardi è come se andasse dicendo che non è ancora il momento per essere felice, o che ormai è passata l’età. Ecco che da giovani, come da vecchi è giusto che noi ci dedichiamo a conoscere la felicità”. Un’esortazione che non ha difficoltà ad essere accolta in una società, che sempre più considera la felicità un diritto, nella quale abbondano la inchieste e si stilano graduatorie per stabilire se e quanto ciascuno è felice. Anche in Italia sull’ esempio dell’Università di Haward,si tengono corsi di felicità, si parla e si scrive sempre più spesso dei “eudamonismo” di “felicismo” come di una nuova ideologia suffragata da quella che alcuni definiscono “scienza del piacere obbligatorio.” Pare superfluo mettere in guardia di fronte al pericolo che la promessa di una “felicità per tutti”, calata dall’alto e assicurata come un diritto, non costituisca l’ennesimo tentativo di espropriare le persone e in particolare i giovani del diritto di essere fautori del proprio destino.
E che una strumentalizzazione in tal senso sia già in atto lo evidenziano le varie ricette per la “felicità” basate sui consumi. Un pericolo verso il quale, richiamando l’esortazione di George W. Bush, dopo l’ attentato alle torri gemelle di “tornare a fare shopping” per riprendere la vita normale, mette in guardia Zygmunt Bauman, che prosegue ” Evidentemente, già prima che il nemico li colpisse, gli americani erano stati convinti del fatto che fare shopping fosse il modo, (forse l’unico, e di certo il principale) per curare ogni afflizione”.( 2012 pag.73 )
Attualmente il consumismo, fatto sociale ormai endemico anche nel nostro Paese rende più pesante una crisi , esaltando le differenze tra chi può permettersi l’acquisizione di beni e chi resta ai margini di un mercato, subdolamente ammiccante, che promette felicità e visibilità. Un altro aspetto quest’ultimo, considerato indispensabile per esistere e competere sulla scena di un mondo nel quale il confronto perenne costituisce un pressante obbligo sociale, come pure la necessità di suscitare invidia per sentirsi pienamente appagati. Una lotta senza quartiere, che genera insoddisfazione e dalla quale tutti escono perdenti.
“Pur considerando la felicità una legittima aspirazione, come abbiamo avuto modo di sostenere in altra sede ” non riteniamo che essa si possa ottenere rivendicandola come un diritto, né possa realizzarsi delegandone ad altri il compito, sia perché è realisticamente impensabile che un tale diritto possa essere garantito a tutti, sia perché la felicità, a nostro avviso, si sostanzia in un processo dinamico, che presuppone varie componenti legate alle qualità di ciascuno e pertanto sulla base di alcune condizioni preliminari, va personalmente conquistata giorno per giorno. Ciò che però possiamo chiedere alle Istituzioni è il riconoscimento del diritto alla” ricerca della felicità” e che pertanto vengano garantiti i presupposti perché sia possibile per tutti l’accesso ai mezzi per rendere concreto tale diritto, tenuto conto che la felicità pur non coincidendo con il benessere è a esso strettamente correlata” (S. Liaci 2012 pag.18).
Inoltre accanto alla sicurezza di poter fruire di beni e di servizi primari per ottenere quel benessere complessivo, si fa strada la necessità di soddisfare l’esigenza di vivere una vita piena nella quale il “Bello” occupa uno spazio di particolare rilievo. Un concetto, sicuramente legato allo spazio e al tempo, ma che pur nella sua relatività è sempre presente nelle varie culture in connessione con i valori, che le caratterizzano.
In molte religioni il Bello avvicina a Dio; non è un caso che monasteri e abbazie siano collocati in luoghi ameni e immersi nella natura. Lo scrittore cistercense Giberto di Hoyland per sottolineare l’influsso positivo che la bellezza dell’ambiente può esercitare sullo spirito così scrive: Il luogo nascosto e ricco di alberi, irrigato e fertile, e la valle boscosa che a primavera risuona del canto degli uccelli, tutto questo ridona vita allo spirito che muore, libera l’anima che languisce per la stanchezza e rende tenero il cuore duro e incapace di devozione.” ( F. Farina 1990 pag. )
Oggi si torna a parlare sempre più spesso di senso estetico, non solo in riferimento alle opere d’arte, ma anche riguardo alle città nel loro complesso. Si sperimentano varie soluzioni per dare identità alle periferie collocandovi monumenti, creando e potenziando spazi verdi, in grado di soddisfare quel bisogno di armonia con la natura, quel senso di equilibrio tanto caro ai greci, anche attraverso la tutela del paesaggio.
Un diritto espressamente sancito dall’articolo 9 della nostra Costituzione, che recita: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”. Un impegno già presente nella legge n. 1089 del 1939, che fa riferimento alla “Tutela delle cose di interesse artistico e storico”, ma ancor prima nella legge Nasi del 1902 e nella legge Rosadi del 1909, recepite dalla Legge 11 giugno 1922 n. 778 ” Per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico” presentata nel 1920 da Benedetto Croce, per undici mesi ministro della Pubblica Istruzione, nell’ultimo governo Giolitti che all’art. 1 recita: “Sono dichiarate soggette a speciale protezione le cose immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico, a causa della loro bellezza naturale o della loro particolare relazione con la storia civile e letteraria”e consolidatesi nel testo unico del 1999.