“In un mondo dove con il denaro si compra (quasi) tutto, il denaro tende a diventare tutto: ricordare e vivere in questa età dell’avere la cultura del dare e della gratuità ha allora un grande valore non solo economico, ma di resistenza culturale, di battaglia di civiltà, di amore per l’umanità di oggi, e di domani.”
(Luigino Bruni)
Probabilmente, nella storia dell’umanità, mai come in questo tempo la società vive nella continua disponibilità di merci di ogni tipo (fino alla saturazione…) e, al contempo, nell’enorme indigenza di “beni relazionali”, e, tuttavia, si comincia a percepire come, di conseguenza, nel cuore di moltissime persone sia forte il desiderio di rivoluzione e di rinascita per ribaltare questa condizione.
L’economia è generalmente considerata quella scienza sociale in cui l’individuo, che sceglie totalmente mosso dalla razionalità, tende ad operare col fine di massimizzare la propria utilità individuale. Su questa base si può affermare – riportando alcune interessanti riflessioni dell’economista Luigino Bruni (1) – che la tripartizione degli utili proposta dalle imprese EdC rappresenti un’intuizione “meta” economica, che ci parla a chiare lettere di una nuova economia sganciata dalle regole dei modelli classici e ci dice di guardare all’impresa – cioè alla principale istituzione dell’economia di mercato – come a qualcosa di “non solo” economico.
Questo perché l’impresa EdC concepisce e tratta concretamente il profitto non come lo scopo dell’attività economica, ma come il mezzo, e ciò rappresenta una grossa innovazione, un profondo mutamento di mentalità e di coscienza che può, senza dubbio, condurre ad un radicale ripensamento di che cosa siano l’impresa, l’attività economica ed il profitto stessi, ed anche e soprattutto alla comprensione che, al di là della remunerazione monetaria dell’attività economica, fondamentale diventa lo scambio relazionale ed umano, la cooperazione, la comunione di intenti e di carismi che essa certamente genera e di cui la nostra tecnologica ed avanzata società ha sempre più bisogno.
Inoltre, la visione del rapporto mercato-società tipica dell’EdC è profondamente in linea con la tradizione dell’economia civile, che vede i suoi albori all’interno del pensiero classico, nel medioevo cristiano e nell’umanesimo civile mediterraneo in particolare con Vico e Genovesi (2).
L’idea centrale di tale tradizione è considerare l’esperienza della socialità umana come una realtà unitaria, cosicché le espressioni di amicizia e di reciprocità non devono essere relegate soltanto a momenti per così dire ludici, ma si devono esercitare anche all’interno di una normale vita economica.
Le relazioni economiche di mercato possono rappresentare rapporti di mutua assistenza e non solo di mutuo vantaggio ed il mercato stesso può diventare una potente espressione di reciprocità. I rapporti di mercato, dunque, non sono diversi da quelli della società civile e, pertanto, anche negli scambi economici devono essere attivati tutti quei principi che reggono la vita in comune.
L’economia – sempre per citare un pensiero di Luigino Bruni (3) – non è né sempre sociale o civile, né mai sociale o civile ma costruisce il civile solo se accoglie al suo interno tutti i principi del civile e d’altra parte non è concepibile che il dono e la reciprocità restino appannaggio di altri momenti o sfere della vita civile – cioè quelli non economici – poiché di fatto non è possibile edificare una società civile senza economia, ma è certamente possibile farlo attraverso un’economia civile. Criticando, infatti, in maniera generalizzata i mercati da un lato si confinerebbe l’economia civile ad espressioni lodevoli ma marginali e, dall’altro lato, invece, si ritirerebbero dai mercati i soggetti con motivazioni etiche e civili lasciando campo libero a soggetti esclusivamente interessati ai profitti.
Chi desidera davvero un’economia civile deve, quindi, impegnarsi affinché i rapporti si umanizzino e si civilizzino all’interno delle normali dinamiche economiche.
(1) Cfr. Luigino Bruni, Il prezzo della gratuità, Roma 2008
(2) Il termine “economia civile” appare per la prima volta in Italia nel 1754 quando all’Università Federico II di Napoli viene affidata all’abate Antonio Genovesi, allievo di Giambattista Vico, una cattedra intitolata “di meccanica e di commercio” per la quale Genovesi impartiva lezioni di economia civile, che diventerà il titolo di un’opera che egli pubblicherà nel 1765. Tuttavia l’espressione “economia civile” è velocemente scomparsa, alla fine del Settecento, per cedere il posto alla ben più nota “economia politica” di Adam Smith. Ciò che accomuna entrambe le concezioni sono, da un lato, il principio dello scambio di equivalenti da cui deriva l’efficienza e, dall’altro, il principio di redistribuzione, da cui deriva l’equità, tuttavia, a questi, l’economia civile aggiunge un terzo principio che è quello di reciprocità. (Cfr. intervista a Stefano Zamagni, “Fraternità: il principio dimenticato” a cura di Marco Girardo Avvenire 3 Ottobre 2009)
(3) Ibidem