E dunque, per rimanere ancorati al tema centrale di queste riflessioni, appare corretto chiedersi: in quale misura il dettato costituzionale è stato realmente recepito dal tessuto sociale ed in particolare dal mondo del lavoro ?
Abbiamo visto, pur sommariamente e con ampi rinvii, quante siano le norme create dal nostro legislatore per tutelare la “ diversità “ in tutte le sue variegate manifestazioni.
Molto è stato fatto ma, come scriveva Calamandrei, il lavoro da compiere, per realizzare a pieno il principio di eguaglianza, è ancora molto lungo.
L’impegno del legislatore, ma più ancora di tutta la società civile dovrebbe essere volto a cambiare radicalmente il modus operandi con il quale ciascuno di noi si confronta con la diversità.
Se infatti ammettiamo, sic et simpliciter, che esistono delle persone che siano di-verse, ossia che sono lontane da un centro,3 ( id est il nostro centro ), già il modo di pensare, e quindi conseguentemente di agire, contribuisce a creare distanza, disgregazione.
Al centro sta solo la persona, nella sua unicità, la sua irripetibilità, la sua identità personale. 4“ L’epistemologia del rispetto riconosce che ognuno di noi possiede un’esperienza unica al mondo. Questa esperienza unica varia da persona a persona. E le nostre parole ed espressioni ? Esse non sono fotografie del mondo esterno, piuttosto emergono dalla nostra esperienza interiore e ci consentono di condividerla senza dominare i nostri ascoltatori “ 5 Volendo lanciare una provocazione, potremmo affermare che ogni classificazione, id est ogni normativa, diviene in tale prospettiva limitante e generatrice di pericolosi distinguo.
Chi mi dice che, domani, non sia “ discriminato “ nella nostra società civile l’uomo con gli occhi celesti o la donna con il naso all’insù?
In mancanza di una specifica disposizione che tuteli tali soggetti, dovremmo forse tollerare forme discriminatorie nei confronti di queste nuove minoranze ? Ovviamente no.
Occorre dunque modificare decisamente l’angolo di prospettiva con il quale si osserva l’individuo e, nel caso oggetto di questa breve riflessione, il lavoratore.
Se infatti ci limitiamo ad una verifica del rispetto – formale – della normativa in essere a tutela della diversità e quindi della persona nel mondo del lavoro, forse, e pur non sempre, potremo affermare che l’impresa italiana e così quella assicurativa sembrano essere abbastanza in linea con quanto disposto dal legislatore ordinario.
Ma se andiamo più a fondo, oltre la specificità dettata dalla norma, ciascuno di noi, secondo la propria esperienza professionale e cultura personale, provi a porsi questa domanda: quanto trova effettiva rispondenza il dettato dell’art. 3 Cost . nell’impresa assicurativa italiana?
E’ riuscito cioè il nostro ordinamento a “ rimuovere – ivi – gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando la libertà e l’eguaglianza tra cittadini impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, sociale ed economica del paese ?”
6 Non dobbiamo generalizzare né giungere a sterili risposte senza futuro, senza speranza.
Crediamo sia anzi necessario valorizzare le best practices, ove siano presenti.
Occorre però essere consapevoli che, se davvero si desideri realizzare un nuovo modo di gestire le risorse umane presenti nell’impresa ( così come si propone di fare il Diversity Management ) sarà necessario innanzitutto rimettere al centro della nostra attenzione la Persona e quindi i suoi personalissimi talenti, piuttosto che le sue diversità, in rispetto del principio di eguaglianza sostanziale sancito dal nostro Costituente.
Note
3 “ La parola diversità deriva notoriamente dal latino deverto, is, devertere che significa appunto, volgersi, dirigersi verso qualcuno o qualcosa. Più precisamente devertere, in latino, nella particella de, coglie il senso dell’allontanarsi,e nel vertere, l’inclinarsi verso, il volgere verso. Per l’uomo, diversamente dall’animale, il rivolgersi ed in particolare rivolgere la parola, si innesta sul fatto di porre e riconoscere l’autonoma alterità dell’altro con il quale, proprio per questo motivo, si è in relazione. L’altro diverso da me e portatore di differenza, diviene occasione di forte crescita, incontrarlo produce sviluppo, cambiamento, conoscenza. D’altro canto, quelle realtà siano essi gruppi sociali, gruppi culturali o più in generale paesi, che si costruiscono nella negazione della differenza, e non sono attualmente poche, possono essere potenti nel breve periodo ma debolissimi a medio e lungo termine. La diversità si presenta ai nostri occhi come un prisma dalle tante facce, perché di genere, d’età, di nazionalità, di cultura, di religione, ma di qualsiasi tipologia sia, costituisce sempre una ricchezza dinamica e una via di umanizzazione . “ D. Pardini, estratto da Atti del Convegno sull’ Inclusione Finanziaria, pubblicato su www.centrogiusepperomano.it
4 E proprio in tale prospettiva riteniamo fondativo ricordare che il nostro Ordinamento riconosce espressamene, come situazione soggettiva autonomamente tutelabile, il diritto all’identità personale, l’ultimo nato tra i diritti della personalità.
Tale diritto come osserva G. Alpa “ appare una nuova risposta all’esigenza di protezione dell’individuo, un’integrazione delle garanzie apprestate dall’ordinamento alla persona“
Rileggiamo in breve i contenuti definiti dalla giurisprudenza e condivisi dalla dottrina.
“ Sembra al giudicante che ormai possa essere considerato acquisito dalla giurisprudenza, e sufficientemente elaborato dalla dottrina, l’orientamento secondo il quale il vigente ordinamento giuridico riconosce, nell’ambito della più generale e complessa categoria dei diritti della personalità – il diritto all’identità personale, inteso come proiezione dell’immagine – latu senso individuata della persona – in riferimento alla sua collocazione nel contesto delle relazioni sociali “ ( Pret. Roma ordinanza, in foro It. 80 p.2046 ) “ … trattasi di diritto dell’individuo ad essere garantito nella sua posizione politico sociale, a vedere rispettata la sua immagine di partecipe alla vita associata con le acquisizioni di idee ed esperienze, con le stesse convinzioni ideologiche, morali, sociali, politiche che lo differenziano ed allo stesso tempo lo qualificano .. tale diritto può essere paradossalmente violato anche se le attribuzioni non veritiere sono migliorative e non peggiorative della personalità “ ( Trib. Roma 27/4/84 Foro It. 1984 I p. 1687 ) “ Ciascun soggetto ha interesse, ritenuto generalmente meritevole di tutela giuridica, di essere rappresentato nella vita di relazione, con la sua vera identità; .. ha cioè interesse a non vedersi all’esterno alterato, travisato, offuscato, contestato il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico, professionale etc “ ( Cass. 22/6/85 Foro It. 85 I p. 2212 ) .
5 J. Liss, l’apprendimento attivo, Armando Editore.
6 Anche in dottrina ( Romagnoli ) è stato osservato che il principio di eguaglianza sostanziale ha fin qui ricevuto rare applicazioni ed esercitato scarso peso nell’ambito della giurisprudenza costituzionale. L’osservazione, se indubbiamente è esatta e trova la sua spiegazione nella circostanza che le forze conservatrici hanno esercitato negli anni di applicazione della Costituzione un ruolo predominante, influendo perciò inevitabilmente anche sulla condotta di un organo come la Corte Costituzionale, va peraltro in qualche misura ridimensionata in base alla considerazione che molti casi di applicazione del principio di eguaglianza sostanziale sono stati fatti passare per applicazione dell’eguaglianza dinanzi alla legge ( Mortati ) . Per contro l’esperienza più recente ha mostrato anche i pericoli insiti nelle applicazioni che il principio di eguaglianza riceve mediante sentenze o mediante leggi di ambito circoscritto, le quali rischiano di far perdere di vista le esigenze generali della società e di ridurre il dibattito politico e sociale ad una illimitata serie di micro-confronti fra singole coppie di situazioni analoghe io più o meno differenziate ( nota anonima in Pol. Dir, 1976, 286 ss )