Cominciare con il negare i fatti e finire realizzando (cioè: rendendo reale) il pensiero sono gli estremi in mezzo ai quali sta la forza bruta della ragione, quando essa viene armonizzata con metodo. La creatività buona (importante distinguerla da quella cattiva) passa necessariamente da qui: la negazione degli assunti classici di base e la loro riproposizione in forma metodica.
2.a. Il risultato
Per creare, si parta sempre presupponendo che ordine e metodo siano semplicemente due strumenti, i più utili. Essi concorrono, prima ancora della creatività grezza (e comunque insieme a essa), all’individuazione di soluzioni reali.
Soluzione è termine spesso usato in contesti più tradizionalmente tecnici, quelli in cui è imprescindibile trovare la via giusta per arrivare al risultato cercato.
Troppo spesso la creatività è descritta come un processo fantasioso e simpaticamente caotico di non ricerca, come se nell’arte (od ovunque ci si approcci con eccessiva indulgenza verso il pensiero applicato) non contasse prevedere il risultato, ma solo arrivare a esso. L’arte creata a caso non è creativa e non porta alcun contenuto innovativo, ma solo pseudo-significati.
Prevedere ciò che si otterrà è invece un prerequisito per ogni attività umana. Fare un lavoro una volta che è stato pensato è cosa facile; farlo con cognizione è la cosa difficile, quella da tecnici (parola che qui usiamo nel suo nobile significato originario di chi possiede un’abilità progettuale).
Il lavoro assiduo, serio e serioso dei noiosi geometri della creatività è quanto di più intellettualmente elevato ci possa essere. Lavorare senza alcun obbligo di risultato è una recente pericolosa deformazione per cui si insinua che si possa progettare o addirittura ricercare senza un fine; come se cercare ciò che si immagina di trovare non sia degno di essere indagato.
Nelle discipline scientifiche è l’ipotesi di partenza a dover essere verificata: quindi, si sa già cosa si cerca. Cercarlo con metodo è lo scopo della scienza.
Non esiste pertanto innovazione, sia essa scientifica, tecnica o artistica, senza metodo. Creatività buona contro creatività cattiva: il metodo contro il vuoto di idee. Innovazione contro ripetizione.
2.b. Il processo
Educarsi all’ordine mentale è quindi l’unica via se si vuole raggiungere l’obiettivo minimo del pensiero creativo e della generazione delle idee: cioè idee nuove e di qualità che possano esistere nel mondo reale. Nessun preconcetto, chiaramente, contro tutto quanto non sia reale; solo più dimestichezza e interesse verso ciò che è o potrà essere vero.
Un metodo possibile è l’amplipensiero; in inglese: wide thinking. Amplipensare significa non innamorarsi di un’idea solo perché la si è pensata, significa adottare le idee degli altri come se fossero proprie, significa possedere uno slancio al cambiamento di idea che solo le menti oneste sanno dimostrare. Significa sfruttare ciò che altri hanno pensato prima di noi per andare avanti ed espandere i concetti. Significa, infine, non fissarsi mai su un concetto credendo che sia quello risolutivo (con il rischio di incorrere nell’effetto Atteone: di chi crede che, nella versione di greco, il puttino dia calci a una staccionata, invece di cavalcare un delfino). Si potrebbe dire che l’amplipensiero è l’equivalente intellettivo del design: è l’approccio progettuale al pensiero.
Per essere davvero innovativo, il processo creativo deve essere sempre quello a minima energia, quello a entropia più bassa: la cosiddetta minima azione (o principio di Hamilton). Altrimenti si candida immediatamente, all’atto stesso della sua nascita, a essere sostituito da uno più economico (e non può esistere un’innovazione intrinsecamente obsoleta). Non è detto che esista una sola strada possibile da percorrere (come succede in fisica, una volta date le condizioni al contorno); ma esiste un’efficacia che va massimizzata a prescindere dal risultato. Si potrebbe affermare che è importante il percorso, non il risultato. Se il percorso (il metodo) è corretto, lo è anche il risultato, sempre.
Amplipensante è chi riesce a scomporre ogni percorso in piccoli percorsi, la somma dei quali conduce alla soluzione. Ogni scelta che si pone di fronte a noi deve essere affrontata con lo spirito schumpeteriano di negazione del reale, con attitudine gioiosamente distruttiva: solo il dubbio mette in relazione il vero con il percepito.Ed è necessario non dichiararsi mai soddisfatti per poterlo essere davvero.
Il risultato è il processo. Se da un processo sbagliato viene fuori una buona cosa, questo processo si chiama fortuna (non design o progettazione). La buona cosa si tiene, ma il processo si cambia. Un po’ come la dinamite: Alfred Nobel, dopo la prima volta, ha smesso di farla per caso e ha cercato la maniera per rifarla sempre uguale e sempre bene. Un processo sensato è un processo di cui si sa dove comincia e dove arriva, con precisione, senza superflui movimenti dell’intelletto, senza dispersione di energie o di risorse. La prevedibilità è il concetto chiave: se lavorando si ottengono risultati diversi da quelli attesi, anche se migliori, non c’è niente di che congratularsi; niente pacche sulle spalle, conviene solo ripensarci bene: il creativo, l’innovatore e lo scienziato non sono serendipici.