Autismo tra mito e realtà
Dott.ssa Maria Rita Fodero
Biografia
Maria Rita Fodero nasce 25 anni fa nel capoluogo calabrese, dove trascorre l’infanzia e l’adolescenza, nella casa in campagna con in suoi genitori, avida di arte e cultura, studiando danza, pianoforte e recitazione fin da piccola, cantando nel coro della scuola, leggendo e dilettandosi in lavori creativi.
A diciott’anni spicca il volo verso la capitale inseguendo il sogno della vita artistica, che però, ben presto svanisce sovrastato dalla carriera universitaria, allora alla facoltà di medicina e chirurgia della Sapienza. Dopo un anno di tribolazioni e chiarimenti, nel settembre del 2006 conosce i suoi due grandi amori: il fidanzato Riccardo, col quale avrà una bellissima storia di quasi sei anni, e la psicologia, quest’ultima, invece, un amore per la vita.
Durante i cinque anni della vita romana, Maria Rita continua a sperimentarsi nell’arte (ballo, canto corale e laboratori di recitazione), lavora saltuariamente con i bambini e studia per diventare psicologa accumulando esperienza in vari campi. Dopo la laurea triennale, ottenuta nel 2009 con lode, è per due anni tirocinante in ricerca presso l’istituto di Scienze e tecniche della cognizione del CNR di Roma, in collaborazione con l’Ospedale pediatrico “Bambino Gesù”, dove scrive la sua tesi di laurea sull’osservazione di modelli comunicativi tra genitori e bambini con disturbo dello spettro autistico, che discute nel 2011, anche questa volta ottenendo la lode. Dal 2009 al 2011 è collaboratrice dell’associazione di psicologi Elios, della quale diviene socia nel 2012, all’interno della quale segue corsi sulla psicologia giuridica e criminologia, e sulle nuove dipendenze da comportamento, prima come discente, poi come responsabile della segreteria organizzativa e tutor d’aula. È inoltre osservatrice in ambito di consulenza tecnica d’ufficio per il tribunale dei minorenni di Roma e svolge attività di studio e ricerca.
Nel febbraio 2012 il fortunato incontro con l’associazione Eraclito2000, presso la quale Maria Rita frequenta la XIX edizione del Master CIBA (Comunicazione, Impresa, Banche e Assicurazioni), che le consentirà di intraprendere una formazione nel marketing e nella comunicazione, che approfondirà in seguito con corsi di gestione web e creazione siti internet.
Nel frattempo frequenta il master in Applied Behavior Analysis dello IESCUM -Istituto per lo studio del comportamento umano, di Parma, dove studia per diventare consulente ABA e, dunque, analista del comportamento.
Alla primavera 2012 risale il suo trasferimento nella città di Milano, dove, infine, è tirocinante post lauream presso il dipartimento di psicologia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
Introduzione
Mettiamo un primo piede nella discussione sull’autismo andando ad indagare dove nasce il riconoscimento di questa patologia e, soprattutto, grazie a chi. L’autismo, in quanto deficit delle relazioni intersoggettive, affonda le sue radici in un passato molto lontano. Da quando Eugene Bleuler introdusse il concetto di autismo all’interno della sintomatologia descrittiva della schizofrenia, nel 1911, questa incapacità a relazionarsi è stata interpretata come un desiderio di “ritirarsi” dalla realtà del mondo circostante e dagli altri. Dobbiamo immaginare che il contesto sociale in cui si mosse Bleuler fu sì caratterizzato da una grande curiosità scientifica, ma anche da una quantità di informazioni millesimale rispetto al panorama attuale, a distanza solo di circa centocinquanta anni. Bleuler riteneva che gli schizofrenici gravi non avessero alcun rapporto con il mondo esterno, che vivessero entro i limiti dell’appagamento dei loro desideri più profondi e che non sperimentassero in alcun modo la spinta verso l’altro, ridimensionando completamente i canoni della loro realtà. Vedeva questi soggetti chiusi nel loro mondo, come potremmo immaginare dei pulcini che non escono mai dal loro uovo.
Il termine autismo, storicamente, fra le carte dello studioso, nasce dalla parola autoerotismo, di cui Bleuler eliminò la componente di έρος. Dobbiamo pensare al termine autoerotismo, coniato da Havelock Ellis e ripreso in seguito da Freud, col significato di αυτός, che indica la riflessione (re-flecto, mi piego indietro) del soggetto su se stesso.
È possibile che egli avesse tratto questa conclusione da alcune affermazioni di Freud, del quale in quel periodo stava studiando L’Interpretazione dei sogni. Freud aveva definito l’autistico come un uovo protetto nella sua “sussistenza automantenentesi”. Per Bleuler, l’autistico è il “bambino addormentato”.
Immaginiamo nella nostra mente l’idea dell’uovo, che racchiude il bambino proteggendolo e difendendolo, ma anche tenendolo lontano dal resto dell’ambiente.
La storia del concetto di autismo, attraversa la fenomenologia di Binswanger per il quale “l’autismo consiste nel distacco dalla realtà, insieme con una prevalenza più o meno marcata della vita interiore”. Secondo l’autore, la persona autistica era caratterizzata da un rifiuto del contatto dall’esterno (inteso anche come rifiuto di essere toccato), da una indifferenza costante nei riguardi di oggetti (fisici, materiali), che normalmente dovrebbero suscitare interesse, da una difficoltà di adeguarsi alla realtà circostante (non parla di rifiuto, ma di incapacità), da reazioni inappropriate a stimolazioni esterne, e, infine, fondamentale, da una “morbosa preponderanza” della vita interiore.
Questa prima definizione di Binswanger servirà addirittura da linea guida per la definizione della sintomatologia, nella classificazione diagnostica ufficiale della comunità scientifica internazionale (DSM, Manuale statistico diagnostico dei disturbo mentali, III e IV).
Nel 1927, nel suo capolavoro La Schizofrenia, Minkowski dedicò un capitolo all’autismo, affermando che il modo degli psichiatri di considerare l’autismo presentava vari inconvenienti.
Egli chiama “l’elemento regolatore” tra il desiderio di isolamento e la ricezione dall’ambiente esterno “sentimento d’armonia con la vita”. Minkowski fu inoltre il primo a dare rilievo ai comportamenti di questi soggetti, o meglio agli atti autistici, che lui chiama, con un’immagine molto forte, “atti senza domani”.